LE BAMBINE DI LETIZIA
Il caso scoppia di nuovo, del tutto simile, a distanza di pochi mesi. Stavolta siamo a Palermo, il missile su quattro ruote è una Lamborghini gialla e invece di uno spot c’è una sequenza di fotografie, diffuse sul web per il progetto“With Italy, For Italy”: 21 fotografi di fama internazionale raccontano le bellezze paesaggistiche d’Italia, includendovi altrettanti modelli della celebre casa di automobili deluxe (italiana di origini, oggi nelle mani di Audi: errare è umano, verrebbe da dire, perseverare è marketing diabolico).
Per la tappa siciliana Lamborghini sceglie Letizia Battaglia. Chi meglio di lei? Icona di una Palermo raccontata fin dagli Anni ‘80 con occhio spietato, pieno di tenerezza, di verità, di passione, di violenza e di seduzione: dalle intense foto di mafia, che la resero celebre nel periodo del quotidiano L’Ora, a quelle scattate fra i quartieri poveri della città; dall’attivismo sociale agli scatti con i pazienti dell’ex ospedale psichiatrico, e poi i colletti bianchi, i tribunali, gli arresti, gli uomini delle istituzioni; e i piccoli che giocano in strada, e le donne e gli uomini che incarnano l’amore, la miseria, il piacere, l’intreccio consueto del romanzo familiare.
E poi le bambine. Un soggetto sempre indagato e accarezzato, tessendo la più intima cronaca urbana: nelle bambine di Letizia, disegnate da un bianco e nero qui dolce, lì drammatico, la forza visiva aveva il peso di una disarmante verità, racchiusa nei volti minuti, nelle indocili intelligenze, negli occhi impauriti o fiammeggianti, nei sorrisi monelli, nell’ammiccare giocoso e in una forma di magnetismo puro, infantile, come puro e scandalosamente adulto era il dolore.
E c’era, in questo tornare e ritornare sul tema, l’ostinata ricerca di un fuoco perenne nel proprio sguardo di reporter: un candore e un’autenticità da custodire, nonostante l’inferno visto in faccia, tra il crimine quotidiano e gli omicidi di Stato.
Oggi la Palermo di Letizia Battaglia, griffata Lamborghini, ha il volto di una bambina dalla pelle diafana e le lunghe chiome color tiziano, più normanna che araba, più stranita e straniata che in sintonia col genius loci. Sguardo languido e un primo piano stretto, che lascia sfocare l’automobile sullo sfondo, alla sua sinistra: stonata la corrispondenza secca tra l’espressione ingenua e un poco vacua di lei, nell’assenza di empatia con l’obiettivo, e le linee affusolate del bolide giallo. Sono accanto, perché?
Un’altra giovane modella, con la sua preadolescenza impacciata, posa davanti all’oggetto cult in diverse situazioni: top corto e micro shorts, seduta al centro di una piazza storica, oppure di spalle, in costume da bagno, su una panchina in riva al mare; o ancora ritta in mezzo al traffico, abbracciata ad un’amica. Capelli biondi al vento, fisici flessuosi, sguardi vagamente complici, che appaiono però disorientati: piccole testimonial spaesate ed imbronciate, finite lì per effetto di una casualità senza chiave d’accesso e di lettura.
Forzato, sbiadito il campo dei segni e delle sottese narrazioni. Come si rivela il marchio Lamborghini attraverso questi scatti? E come si inerisce Palermo nel racconto? La “città-bambina”, che si prefiggevano di rappresentare, è un luogo che “esprime il sogno”, ha dichiarato Battaglia, lo stesso suo sogno di eterna fanciulla, “che vuole un mondo sincero e rispettoso”. Una retorica onesta, che qui non trova adeguata forma né riscatto.
ASPRE POLEMICHE E OPPOSTE FAZIONI
Ma c’è un elemento che pare non aver lasciato dubbi. La faccenda della componente erotica canalizza l’attenzione e la polemica esplode in un lampo. Sembra ancora l’odioso, obsoleto, scontato binomio tra donne e motori, per di più utilizzando delle minorenni. Non era nell’intenzione dell’autrice, di questo ne abbiamo certezza. Ma la sottovalutazione dello stereotipo, o magari l’incapacità di ribaltarlo, di trasporlo, di farne altro con convinzione, hanno generato l’equivoco. Con tutta l’ingenuità di chi, evidentemente, s’è lasciata condurre fin dentro un progetto insidioso, segnato da feroci logiche d’impresa e da una comunicazione imponente, amplificata.
La maggior parte dei commentatori reagisce male, molti trascendono nell’insulto, una gara al giudizio e all’accusa che nei confronti di una professionista con molti anni di militanza, di successi e di rigore, diventa ingiusta stortura. Ma non è solo la più greve vox populi a rivoltarsi contro Lamborghini e la sua musa palermitana. Tante le critiche misurate, articolate, moderate, nella necessità di alimentare un dibattito pubblico intorno alle immagini e al loro impatto sul mondo contemporaneo, proprio in una fase storica in cui di arte nessuno ragiona, mentre la critica stessa si sfila, per convenienza, per incapacità, per quieto vivere, per noia.
E invece, che di tutto questo si parli è un bene. Ed è un bene che si mettano in discussione non solo cliché negativi, non solo significati nascosti e possibili interpretazioni, ma anche maestri, riferimenti autorevoli, artisti che contano, figure di potere. Un fatto sano, civile. Che per certuni diventa lesa maestà, insubordinazione: nell’appassionata polarizzazione dello scontro sul caso Lamborghini, la fazione “pro” ha protetto l’artista sotto un mantello d’intangibilità, che con il rispetto umano e la stima non ha nulla a che vedere. Chiunque abbia osato muovere una critica, pur quieta e argomentata, è diventato un “nano” dinanzi alla gigantessa, un “poveretto” al cospetto dell’intoccabile, un “analfabeta funzionale”, un “borghesuccio” spaventato dall’audacia creativa. Insomma, plateali forme di piaggeria, in qualche caso oneste manifestazioni d’affetto, dimenticando che l’infallibilità non è cosa umana e divina nemmeno. Riflettere sulle immagini è invece un esercizio fecondo. E là dove il dubbio del fallimento chiama a una meditazione suppletiva, siamo dinanzi a un’occasione. Avercene.
Helga Marsala, 20 novembre 2020
Il resto dell’articolo e altri approfondimenti su https://www.artribune.com/?s=battaglia+lamborghini
Helga Marsala è critico d’arte, giornalista, notista culturale e curatore. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove è stata responsabile dell’ufficio comunicazione. Collaboratrice di testate nazionali di settore, ha lavorato come caporedattore per la piattaforma editoriale Exibart. Nel 2011 è tra gli ideatori della piattaforma Artribune, dove ancora oggi lavora come autore e nello staff direttivo. E’ autrice di saggi e contributi critici di approfondimento sull’arte e la cultura contemporanea. È stata curatore dell’Archivio SACS e membro del Comitato Scientifico presso Riso Museo d’arte contemporanea della Sicilia. Cura mostre e progetti presso spazi pubblici e privati. Dal 2018 al 2020 è stata Consulente per la Cultura del Presidente della Regione Siciliana e dell’Assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana.